L'Islanda del Nord: la penisola di Vatnsnes, terra di foche e assassini
Sabato 29 giugno partiamo di buon ora da Stykkisholmùr verso il nord. Dobbiamo attraversare l’ampio tratto di strada interna che separa la costa ovest dell'Islanda dal versante settentrionale. Visto che abbiamo (solo) due settimane di tempo, non visiteremo i fiordi occidentali, famosi per le colonie di pulcinelle di mare. Chissà se prima della fine del viaggio riusciremo a vedere questi volatili, tanto buffi quanto schivi.
Il tragitto è in larga parte su strada sterrata, dove il limite di velocità è cinquanta chilometri all'ora. Anche volendo, non ci sarebbe pericolo di andare troppo spediti: se superiamo i quaranta orari gli sbalzi e le vibrazioni sono tali che rischiamo di perderci qualche pezzo per strada o, peggio, di investire una delle pecora temerarie che brucano sul ciglio della carreggiata (l'erba lì deve essere proprio speciale). Il panorama è desolato e desolante; non ci consolano le sporadiche fattorie che spuntano in lontananza né le rare vetture che incrociamo. In abbondanza solo capre e cavalli.
La giornata è dedicata alla penisola di Vatnsnes, famosa per le colonie di foche (e non solo). Procedendo verso nord il tempo peggiora sensibilmente. Quando entriamo nel paesino di Hvammstangi, porticciolo affacciato sul fiordo Miðfjörður e centro principale della penisola, piove e soffia un ventaccio gelido. Per ripararci dal gran freddo ci rifugiamo nel museo della foca (Icelandic Seal Centre).
Sulla porta del Seal Centre c'è un cartello. C'è scritto, in inglese: "Salve! Queste sono le risposte alle domande più frequenti:
1) si, questo è il museo della foca;
2) il costo del biglietto è 1100 corone islandesi per gli adulti; i bambini non pagano;
3) si, c'è un wc a disposizione dei visitatori;
4) i siti migliori per vedere le foche sono Svalbarð e Illugastaðir, che si trovano tutti lungo la route 117, ben segnalati. La strada costeggia tutta la penisola ed è sterrata.
Se avete altre domande da porci, entrate pure, saremo lieti di rispondervi".
Il Seal Centre è molto accogliente; c'è un bel tepore e si sta riparati dal vento. Sono esposti numerosi animali impagliati (eredità del passato, oggi le foche della colonia che staziona nella penisola di Vatnsnes sono protette, monitorate e studiate).
L'attrazione più divertente è un monitor interattivo che permette di seguire i primi sei mesi di vita di un cucciolo di foca, dalla nascita fino a quando non è andato smarrito il rilevatore che gli avevano attaccato addosso. Memorabili le immagini del "giorno dei brutti capelli" (quando la candida pelliccia infantile è stata rimpiazzata, a chiazze, dal corto pelo grigio delle foche adulte). I tracciati degli spostamenti rivelano che il cucciolone ha percorso il tratto di mare a nord dell'Islanda in su e in giù nuotando fino ai fiordi orientali, che distano più di 600 chilometri.
Ora che sappiamo (quasi) tutto sulle foche è ora di avventurarci nel loro habitat naturale e ammirarle dal vivo. Quando usciamo dal seal centre però fuori piove a dirotto e fa un freddo cane. Forse scoraggiata dal tempo mia figlia si ricorda che si è fatta ora di pranzo e ce lo rappresenta con un perentorio "ho fame". Le foche dovranno aspettare. Entriamo nel primo caffè che incontriamo (caffè Hlaðan): mio marito ordina una fetta di torta al cioccolato con panna (ormai è una tradizione), mentre noi scegliamo la zuppa del giorno per scaldarci: cavolo e curry. Non sarà un piatto tipico islandese ma è bollente e quindi produce l'effetto sperato. Vedendo che facciamo il bis alla zuppiera elettrica self-service, la proprietaria ci confida orgogliosa che è una ricetta di sua invenzione e ci spiega come rifarla. Vorrei dirle che non c'è pericolo, ma sto zitta e ringrazio.
Rifocillati ripartiamo con un preciso obiettivo: foche, foche e ancora foche.
La prima tappa lungo la route 117 è Ánaðastapi. Funziona più o meno così: ogni tanto sulla via appare un cartello con il nome della località seguito da uno spiazzo per parcheggiare.
La strada è sterrata e piena di buche, così tra uno scossone e l'altro siamo ben felici di fermarci a sgranchirci le gambe. Ad Ánaðastapi percorriamo un sentiero tra l'erba che ci porta su un
pendio a picco sul mare da cui si possono ammirare un bel faro bianco e un meraviglioso faraglione. Il mare ha un colore cupo e minaccioso, e l'odore della salsedine si sente perfino in bocca. Di
foche però nemmeno l'ombra, così ci rimettiamo in marcia.
La seconda tappa è Svalbarð: lasciamo l'auto e proseguiamo a piedi su un sentiero che costeggia la spiaggia, ben battuta dal forte vento freddo. All'inizio non vediamo nulla, poi realizziamo che
le salsicce argentate sdraiate sugli scogli sono in realtà foche, perché si muovono. Dapprima ci guardano incuriosite -- al seal centre abbiamo appreso a cosa corrisponde la loro mimica. Poi
capiscono che non rappresentiamo una minaccia e si rilassano, tornando a prendere il vento (niente sole, ma di aria gelida quanta volete).
La terza tappa (Illugastaðir) è il luogo più celebre per l'avvistamento delle foche. Parcheggiamo e ancora una volta ci muoviamo a piedi: camminiamo per oltre un chilometro, costeggiando una bella fattoria. Un uomo su un grande trattore taglia l'erba di un campo. Smette di piovere e spunta uno sprazzo di sole.
Da un cartello sul sentiero scopriamo che qui è ambientato il romanzo storico "Burial rites" di Hannah Kent, che narra la vicenda del terribile omicidio di Natan Ketilsson e di un suo amico. L'uomo era vissuto da queste parti a metà del 1800. Era un abile contadino e guaritore; godeva anche di una meritata fama di donnaiolo, che però gli fu fatale. Fu trovato cadavere insieme a un amico dopo l'incendio della sua fattoria; dalle indagini (e dai resti del corpo martoriato di coltellate) emerse però che non si era trattato di un incidente, bensì di omicidio commissionato dalla giovane domestica Agnes Magnusdòttir, sedotta dall'uomo e gelosa delle altre amanti di lui. I colpevoli avevano cercato di nascondere le tracce del misfatto dando alle fiamme la fattoria, ma furono scoperti e decapitati. Agnes, all'epoca minorenne, finì in carcere, dove morì di TBC a soli 28 anni. L'attuale fattoria sorge sul sito della dimora di Natan.
Proseguendo sul sentiero che costeggia il mare si arriva a un gabbiotto di legno che funge da belvedere sugli scogli e la costa sottostanti. Il vento è fortissimo (cfr. il rumore di fondo nei video); per riprendere meglio la colonia di foche mia figlia ed io ci sdraiamo sulle rocce: è il posto ideale per ammirarle senza spaventarle. Dopo un'ora siamo mezze congelate ma felici: che animali meravigliosi!
A un certo punto arriva un gruppo di turisti francesi che fa un gran baccano. Le foche si mettono subito sul chi va là. Qualcuno del gruppo fa sbattere il portone del gabbiotto e, in uno schiocco di dita, le foche si sono gettate tutte in acqua e sono scomparse. Vabbè.
Visto che le foche non ricompaiono, torniamo all'auto per completare il giro della penisola.
L'ultima tappa è lo straordinario faraglione di Hvìtserkur, detto anche il troll che beve. Si tratta di una grande roccia scura, sbiadita dal sale e dal sole, che emerge a pochi metri dalla riva formando due piccoli archi naturali; più che a un troll, somiglia a un gigantesco elefante con la gobba. Con la bassa marea ci si può arrivare anche a piedi. Lasciamo l'auto al parcheggio, in alto sulla costa, e raggiungiamo la spiaggia nera antistante il faraglione scapicollandoci giù per un sentiero ripido e sdrucciolevole.
Ci ritroviamo dietro il gruppo dei francesi di prima (quelli che avevano fatto fuggire le foche): si buttano sul sentiero dietro di noi con abbigliamento e calzature improbabili e del tutto inadeguate. In due minuti hanno creato il panico: con le scarpette lisce scivolano e restano aggrappati sul sentiero quasi verticale, scalciando giù sassi e brecciolino (noi siamo sotto). Uno cade e si fa pure male. Ma chi li manda in giro?
Accanto al sentiero ripido scorre una cascatella d'acqua dolce che si insabbia sulla spiaggia. Due energumeni (sempre del solito gruppo) si piazzano sulle rocce a farsi selfie proprio lì accanto. Nemmeno si accorgono che una tenera paperella marina vorrebbe avvicinarsi alla cascata per bere, ma esita temendo la loro presenza (fa bene). Cerco di farli andare via ma non capiscono. La paperella si rassegna a bere da una pozza sulla sabbia e poi vola via, spaventata da un turista orientale che quasi le va addosso. Mi arrabbio e penso che siamo veramente la specie animale più autistica e pericolosa: non entriamo in empatia con l'ambiente e gli altri animali, non siamo attenti né osserviamo veramente ciò che ci circonda. Questo prima o poi ci porterà alla rovina, non prima però di aver provocato danni incommensurabili al pianeta e alle altre specie che ci vivono!
Francesi a parte, questo posto è davvero fantastico; il luogo ideale per concludere la sesta giornata.
Ripartiamo diretti al villaggio di Blönduós, dove alloggeremo. Il nostro albergo (hotel Blanda)
affaccia sull'oceano ed è molto curato. Come la maggior parte degli edifici in Islanda, è relativamente piccolo e da fuori sembra fatto di cartone colorato. Dentro fa un gran bel calduccio e lo
staff è molto gentile e disponibile. Visto che la giornata è stata intensa e siamo stanchi, decidiamo di cenare al ristorante dell'hotel, da cui si gode peraltro una vista straordinaria sulla
costa. Il gran vento ha diradato i nuvoloni e a tratti esce pure il sole. Aspettiamo più di un'ora per mangiare una zuppa di pesce con gamberi, capesante e cozze e il pescato del giorno con
verdurine e purea di zucca e cannella, ma ne vale la pena. I camerieri si scusano cento volte e ci spiegano che sono a ranghi ridotti perché oggi è festa nazionale in Islanda.
Dopo cena vorremmo fare una passeggiata sulla spiaggia, ma fa tanto freddo e le raffiche di vento soffiano così forte che rientriamo subito, anche le folate sollevano la sabbia e ce la lanciano addosso (vedi il video).
Il calduccio della camera ci concilia il sonno...
Cronaca semiseria di un viaggio in Islanda - giugno/luglio 2019 - Day 1
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