Il circolo d'oro (the Golden Circle - Gullni hringurinn)
Mercoledì 26 giugno è il giorno della nostra prima gita fuori porta. Il tempo non ci assiste affatto: piove parecchio e tira un vento gelido ma qui nessuno sembra farci troppo caso. Dopo aver fatto colazione al Fosshotel Baron ci mettiamo in auto: oggi percorreremo il circolo d'oro, una strada ad anello che copre tre siti di grande interesse storico e naturalistico, per un totale di 300 km circa.
Uscendo da Reykjavìk sulla route 49 le nuvole sono basse e la visibilità è molto ridotta anche a causa della pioggia. Per fortuna dopo aver imboccato la route 36 che ci porterà al parco nazionale del Thingvellir il tempo migliora leggermente e riusciamo a goderci il panorama di questa bella zona. Da un punto di vista geografico, il Thingvellir (letteralmente "la piana dell'assemblea") si trova su una frattura causata dalla deriva dei continenti americano ed eurasiatico, in continuo spostamento. Nella frattura si è formato anche un grande lago, il Thingvallavatn, le cui acque sono limpidissime in alcuni punti grazie all'azione di filtraggio svolta dalle rocce vulcaniche. In queste acque ci si può anche immergere - adeguatamente bardati di muta stagna e sottomuta termico - per fare snorkeling o immersioni subacquee nella faglia (Silfra diving). Il tempo comunque non è dei migliori, come si vede dalla foto sotto che ritrae mia figlia alle prese con il vento gelido islandese.
Arrivando in auto si accede al Visitor Centre, dove si può parcheggiare, pagare il biglietto e approfittare del bagno. Conviene arrivare la mattina presto perché il Thingvellir è una delle mete turistiche più battute e si incontra davvero tanta gente da tutte le parti del mondo; la maggior parte dei visitatori si limita a percorrere i primi 200 metri del percorso e poi torna indietro, quindi allontanandosi dal parcheggio per i vari sentieri si incontra via via meno gente e ci si gode di più il paesaggio. Nel Visitor Centre c'è una mappa interattiva di difficile lettura: non vi preoccupate se non ci capite nulla, questo è uno dei pochi luoghi in cui non conviene informarsi prima ma è meglio incamminarsi direttamente sui vari sentieri, ben tracciati, e fermarsi a leggere dove trovate dei cartelli esplicativi.
Dal 2004 il Parco Nazionale del Thingvellir è stato incluso nell'elenco dei siti patrimonio dell'umanità dell'UNESCO per il suo valore storico e culturale. Nel X secolo d.C., infatti, in questo luogo fu fondato l'Althing, uno dei primi (se non il primo) parlamenti del mondo. Dall'anno 930 una volta all'anno si radunavano qui i capitani d'Islanda per discutere insieme e sanare le controversie. Il sistema funzionava più o meno così: il caso veniva sottoposto all'assemblea che emanava il verdetto; l'enforcement della pena, però, era tutto a carico dei diretti interessati: capite bene che questo poteva rappresentare un problema se la persona che vi aveva danneggiati ingiustamente era più grossa, forte e sanguinaria di voi. Stiamo pur sempre parlando di vichinghi. Siccome con questo sistema non si riusciva ad andare molto lontano in fatto di giustizia, nel 1200 gli Islandesi, stanchi di ammazzarsi a vicenda, chiamarono in soccorso il re di Norvegia, che non se lo fece ripetere due volte.
Dopo l'intervento del monarca norvegese il sistema restava più o meno lo stesso (ci si riuniva una volta all'anno a Thingvellir per decidere e giudicare), solo che adesso a eseguire le sentenze ci pensavano le guardie del re. Il luogo era dotato di tutti gli optional: c'era il sito dove venivano decapitati i colpevoli maschi, una pozza di acqua cristallina dove affogavano le donne e due rupi alte dove si legava una fune per impiccare i ladri. Questi luoghi ameni sono tutti ben indicati sui sentieri da targhe in islandese e in inglese.
A Thingvellir ci imbattiamo per la prima volta in una cascata islandese, Öxaráfoss, sempre all'interno del Parco Nazionale: si tratta di una piccola cascata formata dal fiume Öxará quando si getta nell'Almannagjà (foss in islandese significa cascata). Ci facciamo una ventina di foto, sotto lo sguardo incuriosito di due pecorelle islandesi, ignari del fatto che in Islanda ci siano quasi più cascate che residenti.
Una curiosità: l'Islanda è piena di pecorelle dispettose che amano pascolare sul bordo delle strade, anche principali, qualsiasi siano le condizioni metereologiche. Sono di piccola taglia e hanno il manto folto di vari colori, anche se prevale il bianco. Per ovvie ragioni non vengono mai tosate a zero: i proprietari si limitano ad accorciarne periodicamente il vello. Hanno zampette corte e orecchie dritte e appuntite, come quelle degli elfi (e chi ci dice che non lo siano?).
Rientramo al Visitor Centre dopo aver percorso il sito in lungo e in largo. L'orologio biologico di mia figlia, che funziona a meraviglia, ci avvisa che è l'ora di pranzo con un perentorio "ho fame". Il caffè del centro visitatori però è affollatissimo, così le molliamo un biscotto farcito allo yogurt e risaliamo in auto verso la nostra prossima meta: i geyser di Geysìr a Bláskógabyggð (se riuscite a pronunciarlo correttamente, vi danno un premio) sulla route 35. In macchina attraversiamo paesaggi stravaganti con montagne a forma di perfetti trapezi isoscele e ricoperti da praticelli erbosi, senza l'ombra di un albero. Le nuvole, spesse e minacciose, formano figure impressionanti.
Finalmente arriviamo a Geysir, nella vallata di Haukadalur, dove non c'è nulla a parte i geyser, un ampio parcheggio e un grande centro visitatori (con ristoranti e bar). Ci fermiamo a mangiare un boccone: io prendo un tè e lo accompagno con una barretta, mio marito un caffè americano con torta al cioccolato, e mia figlia sceglie un panino "spicy chicken". Dopo il secondo boccone se ne è già pentita, ma piuttosto che confessarcelo si farebbe sparare, così se lo mangia tutto. All'ultimo boccone ha gli occhi di fuori ma non molla, e io provo un segreto senso di ammirazione per la sua tenacia. Finito il pasto, attraversiamo a piedi la strada 37 ed entriamo nel recinto dei geyser.
Il percorso è tracciato e delimitato da paletti bassi; oltrepassarli è a proprio rischio e pericolo perché l'acqua, il fango e il suolo sono bollenti e ti squagliano le suole delle scarpe (dalle impronte che si vedono qua e là notiamo che i cartelli non scherzano). A Geysir ci sono diversi geyser, anche se i più conosciuti e visitati sono l'originale Geysir e il più piccolo Strokkur. Un tempo Geysir eruttava getti d'acqua alti fino a 80 metri, ma poi i turisti negli anni hanno ostruito la cavità gettandovi dentro pietre e sassi nell'intento geniale di svegliarlo e farlo eruttare in loro presenza. Strokkur invece erutta regolarmente ogni 4-8 minuti con un getto che può arrivare fino a 40 metri. Eccovene una prova.
Le forze della natura ci tengono ipnotizzati ad ammirare le esplosioni di Strokkur per un'ora circa: mio marito è estasiato. Poi ripartiamo alla volta della
prossima e ultima tappa del circolo d'oro, la cascata Gullfoss, a circa dieci minuti di macchina sulla route 35.
Arrivati a Gullfoss ci si presenta lo stesso programma: grande parcheggio e visitor centre, ma della cascata nessuna traccia. Dopo l'esperienza di
Öxaráfoss ci aspettiamo un'altra cascatella, quindi ci incamminiamo per il sentiero seguendo le indicazioni senza troppe aspettative. Così arriviamo di fronte alla
grandiosità e immensità di questa meraviglia della natura del tutto impreparati.
Gullfoss (letteralmente, cascata dorata) è la regina delle cascate islandesi. Per formarla le acque tumultuose del fiume Hvítá compiono due salti rispettivamente di 11m e 21m di altezza e poi virano di circa 45° per proseguire in una stretta e profonda gola che si apre nell'altopiano. La potenza del secondo salto è impressionante, come testimonia il filmato. Non c'è modo di avvicinarsi senza inzupparsi fino al midollo anche con la cerata, ma ne vale davvero la pena.
Gullfoss ha anche una storia importante: all'inizio del 1900 una società inglese era interessata ad acquistare la cascata per costruirvi una diga e sfruttarla per la produzione di energia idroelettrica. Una contadina del posto, Sigríður Tómasdóttir della fattoria Brattholt, si oppose con tutte le sue forze a tale operazione industriale che avrebbe comportato la distruzione della cascata. Della causa legale, che si protrasse per diversi anni, si occupò anche il giovane avvocato Sveinn Björnsson, poi primo presidente della repubblica islandese. Sigríður minacciò di buttarsi nella cascata nel caso il governo islandese avesse approvato il progetto della diga, pur di difendere la sua grande amica. La causa fu vinta dalla società inglese, ma la diga non venne mai costruita per rinuncia da parte della società stessa. Nelle vicinanze della cascata è stato costruito un monumento per ricordo della coraggiosa contadina, a ragione considerata la prima attivista ambientale islandese.
Grazie ad una rete di sentieri la cascata è raggiungibile con la massima sicurezza sia nella parte superiore (il salto piccolo) sia sopra il salto inferiore, grande e impetuoso. Una nota di colore locale: mentre stavamo ammirando la cascata bardati come marinai in pieno mare del Nord in burrasca, abbiamo visto un giovane uomo avvicinarsi al parapetto con in braccio la figlia neonata; doveva essere uno del posto, perché era in maniche corte e calzoncini e anche la bambina portava una specie di prendisole rosa. Erano fradici d’acqua. A un tratto l’uomo ha alzato la figlia verso la cascata come nella scena-culto de "Il re leone" in cui Rafiki presenta il cucciolo Simba a tutti gli animali della savana. Si vede che qui usa così (sono un po' curiosi, in effetti, questi Islandesi): a Roma lo avrebbero arrestato. Paese che vai...
Dopo questa indimenticabile esperienza abbiamo ripreso l'auto per tornare verso Reykjavìk. Siamo passati per Selfoss, credendo che ci fosse una cascata pure lì (...foss), ma una volta sul posto
abbiamo scoperto che si trattava (solo) di una cittadina famosa per la pesca, situata lungo il fiume Ölfusá. Ci siamo rimessi in auto diretti a Reykjavìk e abbiamo attraversato
una landa desolata di lava e fumarole, un vero paesaggio lunare, mentre nostra figlia cadeva addormentata, esausta, sul sedile posteriore.
Al rientro, per la cena mio marito ha provato a proporre il Rok, un ristorante islandese molto trendy vicino a Hallgrimskirkja, pur di evitare di tornare al Krua Thai. Purtroppo però non avevamo prenotato e non c'era posto. Quindi, con grande soddisfazione di mia figlia, siamo finiti al Krua Thai. Lei ha ordinato lo stufato con curry giallo (che bramava dalla sera prima) e io quello con curry verde, mentre mio marito si è tenuto leggero col pollo. Appena ha assaggiato il suo piatto, però, la faccia di mia figlia ha cambiato colore. In più è iniziato un balletto di moine (scotta, è piccante, ieri sera era diverso, non ho molta fame) che conosciamo bene e che significa senza ombra di dubbio che il cibo che sta mangiando le fa schifo (era la stessa faccia del panino spicy chicken, per intenderci). Volete sapere come è finita? Mio marito si è dovuto mangiare il curry giallo mentre la figlia si è presa un altro piatto più neutro. Non potevamo mica lasciarla a digiuno, anche se la tentazione era forte.