Reykjavìk
Martedì 25 giugno è dedicato alla visita di Reykjavìk, che in islandese significa “baia fumosa” (per il clima cupo e i vapori delle sorgenti calde). La capitale dell’Islanda sorge sul luogo dove i primi colonizzatori dell’isola sbarcarono alla fine del IX secondo d.C.: un manipolo di vichinghi norvegesi in fuga dalla madrepatria, guidati da un certo Ingòlfur Arnarson, erano approdati in questa baia inospitale sotto un cielo cupo, grigio e piovoso. Avevano con loro soltanto pecore, qualche cavallo e gli schiavi celti catturati per strada mentre razziavano le coste di Scozia e Irlanda. Gente per bene, insomma, e dotata di grande immaginazione - considerando come sono stati chiamati questi luoghi.
Piove e fa un freddo cane: l’ambientazione ideale per le storie del Landnàmabòk, il libro degli insediamenti, un testo medievale che descrive le vicende dei primi abitanti. Vivere qui doveva
essere un vero spasso.
Scendiamo nella sala colazione del
Fosshotel Baron: il buffet è ricco e vario, con ampia scelta dolce e salata; l’arredamento rigorosamente IKEA. Stamattina abbiamo intimato a nostra figlia di fare un’abbondante colazione. A
pranzo vorremmo arrangiarci con un panino (e qualche barretta) così da andare al ristorante solo la sera, considerato che qui si cena alle sei del pomeriggio.
Avvisata, si prepara un bel toast con il burro salato: la fetta di pan carré però è calda (l’ha appena tirata fuori dal tostapane) e il burro si squaglia, con suo grande disappunto. Dichiara che così non se lo mangia di sicuro. Decide di fare un altro giro e torna con un würstel in umido con fagioli, che sbocconcella appena. Sarà duro rispettare il programma .
Usciamo dall'albergo, che è affacciato sul mare: poco lontano c'è la celebre scultura di Gunnar Arnarson intitolata Sòlfar (viaggiatore del tempo), una struttura di acciaio che ricorda una nave a remi vichinga e che contiene i simboli nordici del Vegvisir, un sigillo magico che veniva tracciato sulle navi. Secondo le antiche credenze nordiche "se questo simbolo porti con te, non perderai mai la tua strada, nelle tempeste o nel cattivo tempo, anche quando la via è sconosciuta". Chissà se funziona davvero anche oggi. Ci divertiamo un po' vicino alla grande scultura e poi proseguiamo la nostra passeggiata sul lungomare verso l'Harpa, una grande struttura nera di cristallo che ospita l'auditorium e un'area congressi; la sera viene illuminata con bellissimi giochi di luce: a giugno però non fa mai buio e quindi niente spettacolo.
Il progetto dell'edificio è degli architetti danesi Henning Larsen Architects con la collaborazione dell'artista islandese Olafur Eliasson (se vi interessa, le sue opere sono esposte alla Tate Modern di Londra fino al 18 agosto 2019; sempre alla Tate nel 2012 Eliasson curò la straordinaria installazione The Weather Project nella Turbine Hall, dedicata al sole). La costruzione di Harpa fu avviata nel 2007 e ultimata nel 2009, nonostante lo stop dovuto alla crisi economica. Il piano terra ospita un bel negozio di souvenir; le sale concerto, tra cui la grande sala rossa Eldborg, si possono visitare soltanto con la guida e a pagamento; a mezzogiorno si può assistere a deliziosi concerti da camera. Noi però ci limitiamo a gironzolare al piano terra e restiamo ammirati dal busto del ministro della cultura e dell'istruzione che volle a tutti i costi far costruire questo posto "perché la musica migliora le buone maniere" (cosa che assume un significato particolare in Islanda).
Da Harpa ci incamminiamo verso il centro e saliamo sulla collinetta verdeggiante di Arnarhóll dove troneggia il monumento dedicato al primo colo-nizzatore dell'isola (Ingòlfur Arnarson). Lo scultore Einar Jonsson lo ha rappresentato in posa fiera, armato di lancia e ascia, appoggiato a un pilastro decorato con una testa di drago. Il monumento raffigura anche Odino, il padre degli dei cieco da un occhio, con i due fedeli corvi Huginn (pensiero) e Muninn (memoria) sulle spalle. Secondo la mitologia norrena Odino li faceva uscire all'alba per raccogliere informazioni in tutto il mondo; alla sera i due corvi tornavano dal dio e gli sussurravano le notizie nelle orecchie, in modo che fosse sempre informato di tutto.
Da lì torniamo sulla strada principale (Laekiargata) e costeggiando la casa del primo ministro ci dirigiamo verso il Parlamento. Si tratta di piccoli edifici bianchi con tetti colorati. Ci imbattiamo nella vecchia cattedrale, affacciata su una deliziosa piazza, con aiuole e fontana centrale, delimitata da Kirkjustraeti e Vallarstraeti; ci entriamo e - grazie a Dio - scopriamo che è riscaldata.
Continuiamo a girare per il centro, che è davvero piccolo. Per ripararci da freddo e pioggia a un certo punto ci infiliamo nel Museo dell'insediamento (Landnàmssyningin - Settlement Museum), interamente sotterraneo, dove una giovane guida ci illustra i resti delle prime capanne costruite sull'isola (forse dallo stesso Ingòlfur Arnarson). Si trattava di costruzioni a forma di ellisse allungata, con spesse mura di pietra, tetto in torba e un focolare centrale. Erano senza finestre e aveva la stalla incorporata: sai che profumo...
Dopo la visita ci facciamo coraggio e andiamo a fare il giro del Tjörnin (che tradotto significa "laghetto"). Si tratta appunto del laghetto situato al centro della città: vi affacciano begli edifici e un giardino con fiori e sculture, il Hljòmskàlagarthur.
Intanto si è fatto mezzogiorno e mia figlia ci guarda supplicante e intirizzita: ha fame! I nostri propositi di arrivare alla cena per oggi sono congelati. Intanto continua a piovere e fa sempre più freddo. Ci rintaniamo casualmente nella galleria nazionale d'arte d'Islanda (Listasafn Islands), un bell'edificio bianco con grande lucernario sulla riva settentrionale del lago, pensando che dentro ci sia un caffè per fare uno spuntino al caldo.
Paghiamo il biglietto - che vale per tutti e quattro i musei d'arte della città - ed entriamo. Purtroppo il bar interno è chiuso: c'è solo una caraffa di caffè caldo a disposizione degli ospiti. Visto che ci siamo (e abbiamo pagato) ci godiamo la visita: la mostra permanente prevede anche un percorso-gioco per bambini (in inglese) che spiega il legame fortissimo degli Islandesi con la natura estrema dell'isola. Scopriamo inoltre alcuni straordinari artisti locali, come Asgìmur Jònsson. Ci sono dipinti che raffigurano il monte Hekla, cascate, il sole di mezzanotte, il mare e la pesca.
Restiamo soprattutto colpiti dalla mostra retrospettiva dedicata a Hulda Hàkon, un'artista islandese contemporanea che vive a New York; lavora il legno e realizza opere che celebrano luce, fuoco, acqua e animali: gli elementi che la legano alla sua terra natìa, di cui si percepisce tutta la sua nostalgia. La mostra non a caso si intitola "Who are your people" (fino al 29 settembre 2019).
Usciti dalla Galleria andiamo a visitare il museo della cultura (Safnahúsið - the Culture House), uno dei quattro compresi nel biglietto che non è troppo lontano. Anche in questo caso il bar è chiuso - peccato, il locale è stupendo - e ti offrono solo caffè caldo. Dal 2015 il museo ospita una mostra intitolata "Point of views" (punti di vista), suddivisa in diversi temi. Ci sono: Up (su), Down (giù), Inside (dentro), Outside (fuori), Again and again (ancora e ancora), So on (avanti così) e From the crave to the grave (dalla culla alla tomba). Ogni tema esplora il rapporto tra gli artisti e la cultura islandese con il cielo (Up), con il sottosuolo e i vulcani (Down), con se stessi (Inside) e con l'ultraterreno (Outside), che qui non include solo la religione ma anche streghe, trolls ed elfi. Al piano terra del museo c'è anche un art store che merita.
Quando usciamo dal museo si sono fatte quasi le tre e mia figlia è affamata come un lupo. Se non troviamo un posto dove fermarci a mangiare entro breve saranno guai. Mio marito vorrebbe entrare in un fast food - il centro è una zona molto turistica e ce ne sono parecchi tra i più noti - ma non se ne parla. Se proprio dobbiamo spendere una fortuna, è bene che ne valga la pena!
Troviamo allora un posto molto carino, consigliato anche dalle nostre guide (Lonely Planet e Rough Guide): è la pasticceria-panificio Sandholt, al numero 36 della Il posto è molto trendy, con tavoli e sedie
in perfetto stile nordico e comodi cuscini. Sul menù c'è una discreta scelta di piatti dolci e salati. Per 50 euro circa ci danno: un hamburger con patate
per mia figlia (che lo divora), un tè per me e una fetta di torta al cioccolato con panna per il marito. Ottimo per una pausa a metà giornata.
Da lì ripartiamo per visitare Hallgrimskirkja, la cattedrale in cemento che svetta sulla città. Commissionata nel 1945, ci vollero più di quarant'anni per completarla: da quando è stata inaugurata, nel 1986, è diventata uno dei simboli di Reykjavìk e dell'Islanda intera perché le sue forme moderne si ispirano alle forme delle rocce basaltiche che sono il simbolo dell'isola. Pur non essendo sicuramente un esempio di chiesa secondo i canoni classici del termine, la chiesa del sig. Hallgrim ha sicuramente un fascino particolare ed è una meta imperdibile perché salendo sul campanile (a pagamento, con ascensore) si gode una vista mozzafiato sulla città.
Dopo la visita passiamo in albergo per un pit stop bagno, che è non troppo lontano dalla chiesa: in Islanda le toilettes si pagano ovunque (anche in bar e ristoranti, se non si consuma) e la figlia si è dimenticata di approfittare del bagno della pasticceria, appena un quarto d'ora fa.
Dall'hotel ripartiamo per visitare la parte a nord della città, dove si trova il giardino botanico Grasagardur. Dopo una bella passeggiata per la parte più nuova della città arriviamo in un posto incantevole. Gli abitanti di Reykjavìk si incontrano qui per fare jogging in mezzo a una selezione armoniosa di alberi, piante e fiori, saltellando sui ponticelli che attraversano fiumiciattoli e laghetti e zigzagando tra le anatre infastidite. Considerate che giugno è il periodo delle nascite dei piccoli paperottoli, quindi ci sono decine di anatroccoli che seguono le mamme, pigolando e inciampando. Sono una meraviglia. Questa davvero è una tappa da non mancare se siete a Reykjavìk e ne avete il tempo, anche se piove e fa freddo. Nel giardino botanico c'è anche un delizioso caffè, molto romantico, con bianche sedute in ferro battuto e grandi vetrate a giorno.
Stremati ma soddisfatti torniamo verso il centro della città per andare a cena. Stasera abbiamo scelto di mangiare in un piccolo ristorantino thailandese, il Krua Thai, non lontano da Hallgrimskirkja (l'indirizzo esatto è Skólavörðustíg 21a). E' un posticino casual con piatti abbondanti a buon prezzo, preso d'assalto da locali e turisti. Scegliamo dal menù uno stufato al curry giallo e latte di cocco per me, mentre marito e figlia ci vanno più cauti: lui prende un satay chicken (spiedini di petto di pollo ai ferri con salsa satay alle noccioline) e lei pollo fritto. Alla fine della cena lei è talmente soddisfatta che vuole tornarci anche domani, mentre il commento di lui è "piuttosto squalo fermentato" (piatto tipico islandese celebre per la puzza di carne putrida che promana). Chi la spunterà?