Si parte
Lunedì 24 giugno è il giorno della nostra partenza per l'Islanda. Mettiamo la sveglia la mattina presto anche se i bagagli li abbiamo preparati la sera prima. Avremo portato quello che ci occorre per due settimane di viaggio? Dovrebbe far freddo, ma non sappiamo esattamente quanto. Sicuramente pioverà; se dovesse uscire il sole però farà caldo. Ci siamo attrezzati con un abbigliamento quattro stagioni, a strati, con una buona giacca a vento impermeabile, magliette termiche e pantaloni antipioggia. Speriamo bene. Mio marito vuole portarsi "per sicurezza" venticinque paia di calzini, che occupano mezza valigia; dopo un estenuante negoziato scende a quindici e così c'è posto anche per i pantaloni.
Guardo l'ora e mi rilasso; c'è ancora tempo. Il nostro volo SAS decolla all'una. Arriveremo a Reykjavìk in serata: dobbiamo fare scalo a Copenhagen perché non ci sono voli diretti da Roma.
Ci crogioliamo ancora un po' nel letto finché non ci arriva un sms sui telefoni: è la SAS che ci avvisa che il volo da Roma partirà con 40 minuti di ritardo. Accidenti. A Copenhagen abbiamo un'ora e mezza di transito e questo imprevisto rischia di farci perdere la coincidenza per Reykjavìk. Meglio alzarsi subito.
Alle dieci siamo su un taxi diretto a Fiumicino. Abbiamo emozioni differenti: Mia figlia ed io siamo visibilmente eccitate per questa nuova avventura. Mio marito adotta un approccio più cauto e non si sbilancia, anzi sembra un po' nervoso. Gli chiedo se è contento e mi risponde "vediamo". Ci facciamo scaricare dal tassista al terminal 3 di Fiumicino; appena entrati nell'aerostazione scopriamo che il banco SAS per spedire il bagaglio è al terminal 1. Non ci resta che tornare indietro a piedi; la scarpinata su per i corridoi sopraelevati di collegamento di Fiumicino ci costa una bella sudata: c'è un sacco di gente e in questi giganti tubi sospesi manca l'aria condizionata.
Al T1 troviamo il banco della SAS e ci mettiamo in fila per il baggage drop visto che abbiamo già le carte d'imbarco; davanti a noi c'è un milione di persone. Quando finalmente è quasi arrivato il nostro turno scopriamo che il tizio prima di noi è un tour operator che ha tenuto il posto per un nutrito gruppo di anziani: arrivano freschi e riposati e iniziano a spedire i bagagli con una flemma che puoi avere solo a 70 anni; le loro valigie sono talmente grosse che sembra stiano traslocando. Mentre aspettiamo che il gruppo finisca (ci vorrà un po') mi avvicino alla biglietteria accanto al nostro check-in dove c'è il logo SAS con la speranza di avere qualche informazione sul ritardo del nostro volo. Il tizio al banco però mi guarda con aria scocciata e mi dice che non sa nulla. Siccome insisto mi consegna un pezzo di carta con un numero della SAS in Svezia. Ormai ci sono e chiamo, ma quello che mi ha dato è il numero del programma frequent flyer della Scandinavian Airlines. Torno indietro senza nulla di fatto (in realtà ho ottenuto l'iscrizione al programma Eurobonus ma non mi sembra il caso di dirlo ai miei compagni di viaggio). Quando si è fatto quasi mezzogiorno arriva finalmente il nostro turno. La ragazza al check-in sembra un angelo paragonata al buzzurro della biglietteria; ci informa che anche la nostra coincidenza porta ritardo e mi convinco che è effettivamente un angelo. Passati i controlli entriamo nell'area passeggeri tutti e tre con un'aria visibilmente sollevata.
Imbarchiamo e quando finalmente partiamo l'aereo ha accumulato più di un'ora di ritardo. Speriamo bene.
Durante le due ore e un quarto di volo ci offrono té e caffé in abbondanza, ben due volte, ma non ci danno nulla da mangiare. Considerato quanto abbiamo pagato il biglietto ci sembra un'ingiustizia. Dobbiamo ancora abituarci all'idea che l'Islanda è un paese carissimo sotto tutti i profili, trasporti inclusi. Ce ne siamo accorti quando abbiamo prenotato gli alberghi e abbiamo visto i prezzi della colazione e delle cene. Il volo non poteva essere da meno. Per fortuna lo zaino è pieno di snack per tamponare le crisi di fame durante il viaggio. Ci sono barrette di cereali e biscotti ripieni allo yogurt in abbondanza.
Appena decollati ne tiro fuori un paio e li offro ai due compagni di viaggio, che prima li guardano e poi si girano verso di me con aria schifata. Ma non potevi prendere le Pringles o i Ringo? Ci rimango un po' male ma non mi scompongo: non lo sanno che acquisto solo cibi bio di cui capisco gli ingredienti e che sono prodotti in Italia? Le mie barrette sono comunque meglio dei sandwich che vendono sull'aereo. Infatti a metà del volo il marito cede e mi chiede una barretta. Cioccolato e arancia o frutti rossi? Fa un po' tu, mi risponde. Mia figlia invece preferisce farsi venire il mal di testa per la fame ma non molla. Alla fine la costringiamo a mangiarsi un biscotto allo yogurt e lei abbozza con aria truce, mettendo bene in chiaro che la barretta manco morta.
Il volo è tranquillo e ci addormentiamo. Ci sveglia la hostess quando stiamo per atterrare. La SAS sarà pure cara e tirata sul cibo ma, per il resto, il servizio è ottimo; mentre rolliamo sulla pista ci informano addirittura che il gate del volo per Reykjavìk è il B10 e che noi sbarcheremo dal B9. Significa che riusciamo a prendere la coincidenza. Il bagaglio? Incrociamo le dita.
Il volo da Copenhagen a Reykjavìk è operato da Islandair. La divisa delle hostess, di un bel blu oltremare, è divina: semplice ma elegantissima. Anche l'aereo è nuovo di zecca e molto confortevole; i sedili hanno il poggiatesta regolabile e ci sono gli schermi dietro ogni schienale con una ricca scelta di film, serie televisive e video musicali. Ottimo, visto che il volo dura tre ore e un quarto. Ci danno pure da mangiare dei croccantini al pesce che sembrano quelli che diamo al gatto. Mio marito e io ce li mangiamo (sono veramente tremendi ma la fame è fame).
Mia figlia si guarda Toy Story e io ne approfitto per godermi "The lobster", un film surreale di Yorgos Lanthimos che avrei tanto voluto vedere al cinema ma che, per la gioia di mio marito, ci siamo persi. La pellicola è ambientata in un futuro distopico in cui i single vengono deportati in un hotel dove hanno 45 giorni di tempo per trovare l'anima gemella. Chi non ci riesce viene trasformato in un animale (il protagonista, John, sceglie di diventare un'aragosta perché ama il mare: da qui il titolo). Dopo una serie di situazioni paradossali e per certi versi crudeli, John scappa e trova l'amore (Rachel Weisz), ma il lieto fine è tutt'altro che scontato. Con il film il volo è volato (letteralmente) e sento il comandante che ci avvisa che abbiamo iniziato la discesa verso Reykjavìk.
Viaggiamo a più di 11.500 metri da terra e per scendere ci vuole un po'. Dopo venti minuti circa atterriamo a Kéflavik, il principale aeroporto islandese. Si e no è grande quanto quello di Perugia, forse meno. Però è molto curato e pulito.
Sbarchiamo e facciamo per dirigerci verso i nastri bagagli quando realizziamo che forse è meglio vestirci: rispetto ai 33° di Roma, qui ce ne sono 10 e soffia un bel venticello gelido. Indossiamo i pile e le giacche a vento e aspettiamo il bagaglio, che puntualmente arriva. Pure il sole spunta tra le nuvole e, visto che finora pioveva, ci riteniamo davvero fortunati.
Ai nastri bagagli notiamo che la gente del posto veste come noi a Roma stamattina (maniche corte e calzoncini). D'altronde per loro è estate. I turisti invece li riconosci subito perché indossano maglioni e giacche a vento come se andassero in alta montagna.
Al nastro bagagli facciamo conoscenza con uno degli animali tipici del luogo, la pulcinella di mare (puffin): un volatile tenero ma un po' sgraziato, con livrea bianca e nera e un buffo becco variopinto; siccome ha le ali corte rispetto al corpo, vola sbattendole continuamente come i pappagalli; ancora non lo sappiamo, ma i puffin diventeranno la nostra leggenda metropolitana islandese (metropolitana si fa per dire).
Con armi e bagagli ci dirigiamo nella zona degli autonoleggio per ritirare l'auto che abbiamo prenotato, una Yunday Tucson 4x4. Premessa: siccome anche affittare un'auto in Islanda costa una fortuna, per risparmiare 800 euro abbiamo optato per un noleggio locale (Cheapjeep.is) piuttosto che per i classici AVIS o Europcar. In aeroporto però Cheapjeep non lo troviamo da nessuna parte. Preoccupati che ci abbiano tirato una fregatura chiediamo al banco informazioni: c'è un autobus che accompagna i passeggeri presso i noleggi minori elencati su un tabellone, ma Cheapjeep nella lista non c'è e cominciamo a temere il peggio. Chiediamo all'addetto aeroportuale: appena sente parlare di Cheapjeep prende il suo cellulare e me lo passa dopo aver digitato un numero di telefono. Dall'altro capo mi risponde una voce che mi dice di aspettare fuori perché ci stanno venendo a prendere. Esistono!
Siamo al meeting point dell'aeroporto e dopo una decina di minuti arriva un furgone bianco che ci carica. L'autista, che è anche il responsabile dell'autonoleggio, ricorda vagamente Spike, il coinquilino improbabile di Hugh Grant nel film Notting Hill (faccia, denti e modi identici, solo un po' più grassoccio). Dopo un breve tragitto e un'improbabile conversazione in bad English ci scarica in quella che sembra un'autorimessa. Firmiamo un po' di carte nel suo ufficio e poi ci consegna l'auto. La guardiamo: non è decisamente l'ultimo modello e deve aver fatto un bel po' di strada, sterrata. Ci sono graffi, ruggine e pure le spazzole dei tergicristalli hanno visto tempi migliori. Facciamo un bel po' di foto come promemoria dei danni già presenti e poi partiamo. Appena messo in moto però ci accorgiamo che il parabrezza è crepato dal lato del guidatore sopra l'attaccatura del cruscotto. Proviamo a protestare ma non ci sono altre 4x4 disponibili. Decidiamo di tentare la sorte e tenerci l'auto anche perché non abbiamo molta altra scelta, e fotografiamo anche questo danno. Dico al tipo ci vediamo tra due settimane: lui mi guarda e risponde "maybe before" ridacchiando. Tocco ferro e scorgo mio marito fare altrettanto en passant.
L'avventura ha inizio. Imbocchiamo la strada per Reykjavìk, che dista 40 km circa dall'aeroporto. Ci lasciamo alle spalle la penisola di Reykjanes percorrendo la strada in mezzo a un paesaggio brullo e desolato, formato da strati lava pietrificata su cui a stento attecchisce una vegetazione rachitica. L'erbetta ondeggia sotto le raffiche del vento gelido che soffia incessantemente. Per gran parte dell'anno questa terra è ricoperta dalla neve. Sfrecciamo verso il nostro albergo, il Fosshotel Baron di Reykjavìk (sfrecciamo è un eufemismo, considerato che sulle strade principali non si possono superare i 90 km orari e che ci sono autovelox dappertutto tranne sullo sterrato, dove sfido chiunque a superare i 30 km all'ora senza che gli si smonti l'automobile).
Una volta arrivati in hotel ci affrettiamo a fare il check-in perché vogliamo andare a mangiare. Sono già le nove passate ma con il sole di mezzanotte ci sembra che non sia poi così tardi.
I ristoranti qui chiudono presto (alle nove e mezza) e fatichiamo un po' per trovarne uno aperto fino alle dieci: è il Salka Valka Fish & More nelle vicinanze della cattedrale Hallgrìmskirkja, quella che sembra un razzo. Sul menù ci sono tre piatti (zuppa di merluzzo, merluzzo con verdure e merluzzo con verdure, riso e salsa). Ne proviamo uno ciascuno e li troviamo squisiti, anche se potrebbe essere l'effetto della fame; invece la torta al cioccolato è proprio una delizia.
Rifocillati e riscaldati ci congediamo da questo accogliente bistro per fare due passi intorno alla Hallgrìmskirkja prima di tornare in albergo. La stanza del Fosshotel Baron è spaziosa e pulita; c'è pure il bollitore elettrico, così possiamo prepararci il tè o il caffè tutte le volte che ci va, per scaldarci. Tiriamo le tende oscuranti perché fuori è ancora giorno e ci infiliamo sotto i piumoni.
Domani ci aspetta una lunga giornata, che dedicheremo a visitare Reykjavìk.
Cronaca semiseria di un viaggio in Islanda. Day 2 - Reykjavìk.
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