Fino al 7 aprile, Palazzo Massimo e Crypta Balbi ospitano una mostra innovativa e divertente sull'imitazione d'autore, dall'antichità ad oggi. Anche per i più piccoli
Tra le tante mostre in scena a Roma in queste prime settimane del 2019 non perdete Classico POP, presso due poli del Museo Nazionale Romano: Palazzo Massimo e Crypta Balbi.
Una mostra innovativa, brillante, originale, godibilissima. Se proprio un difetto glielo vogliamo trovare, sono le dimensioni: appena cominci a prenderci gusto ti accorgi che è già finita. Ma non è forse tipico di tutte le belle esperienze?
"Classico POP" racconta e illustra la storia dell'imitazione artistica nel 1700, periodo in cui il classico diventò improvvisamente popolare, nell'accezione che si può dare a questo termine in un'epoca ancora dominata dalle élite aristocratiche.
Gli artisti della Pop Art americana trasformavano oggetti di uso quotidiano in opere d'arte (pensate alla Campbell Soup di Andy Warhol). Nel 1700, nella Roma del Grand Tour e dei primi scavi pre-archeologici, c'era un viavai di nobili, artisti, letterati, politici e ambasciatori provenienti da tutta Italia ed Europa: Stendhal, Goethe, Byron, Montaigne, Gustavo III di Svezia, i più noti. Passeggiavano per le strade della Città Eterna e vedevano riaffiorare vestigia dell'antichità, quasi per magia, da ogni parte: frammenti di statue, vasellame, affreschi. Ci voleva poco per restare senza fiato.
L'archeologia era ancora agli albori, tuttavia, e non brillava per rigore scientifico. Quando riaffiorava un torso di statua, dove la conoscenza non arrivava, si sopperiva con una buona dose di fantasia. Così il torso di un discobolo (copia d'età romana dell'originale greco di Mirone) poteva essere interpretato come il busto di un Niobide morente o di un guerriero ferito, con tanto di spada posticcia.
All'epoca anche i ricchi collezionisti ne capivano poco di antichità greche e romane, accecati dal mito della quieta serenità e semplice grandezza dell'arte antica di matrice Winckelmanniana. Quindi chi poteva, comprava sculture antiche restaurate. Non tutti avevano la disponibilità economica di un Gustavo III di Svezia o di una Caterina di Russia, ma ognuno nel suo piccolo si arrangiava come poteva per portarsi a casa un pezzetto di antichità. In questo contesto, Giovanni Volpato ebbe l'intuizione del secolo: incisore e ceramista originario di Angarano (Bassano del Grappa) arrivato a Roma quasi per caso, annusò l'affare e decise di mettere in piedi una manifattura di biscuit (niente pasticceria, si tratta di una porcellana opaca che rende l'effetto del marmo) specializzata nella riproduzione di sculture e vasellame classico, artigianale e di pregevole fattura, ma prodotto in serie. Il catalogo di Volpato conteneva articoli per tutti i gusti e le tasche: divinità (gli Apolli e le Veneri tra i più gettonati), puttini alati, Muse e addirittura gruppi scultorei, sia in dimensione originaria sia in miniatura. Si tratta di copie che sono oggi considerate piccoli capolavori.
Nel 1786 Pietro Donà, ambasciatore del Veneto, commissionava a Giovanni Volpato un dessert (una composizione di statuine in miniatura, detta anche surtout) incentrato sul trionfo di Bacco e Arianna e composta da 98 pezzi, tra cui le nove muse con Apollo citaredo, Baccanti danzanti, fauni e una serie di vasi multiformi. Avrebbe avuto così tanto successo che Ennio Quirino Visconti ne ordinò uno simile di lì a qualche anno. Un trionfo, che andava ad arricchire la reputazione e le entrate della fabbrica di Volpato, ubicata in via Urbana 152.
La mostra offre un interessante spunto di riflessione sul concetto di imitazione dall’antichità ad oggi. Nella Grecia arcaica e in quella classica dell'età di Pericle, infatti, gli scultori producevano molte copie delle loro opere più celebri presso il pubblico, con la speranza di venderle. Per questo nei musei si possono ammirare così tanti esemplari di statue raffiguranti kouroi e korai (fanciulli e fanciulle) d’età arcaica (VI a.C.), che ripropongono schemi figurativi simili. Con il mutare dei contesti politici e, con essi, dei gusti e delle modalità espressive, nella scultura greca si passò prima al naturalismo e alla bellezza ideale del periodo classico (V a.C.), forse una sintesi del rapporto contradditorio dell'idea democratica con il problema dell'individualismo (Arnold Hauser, Storia sociale dell'arte, Einaudi), per poi approdare alle forme dinamiche, ricche e voluttuose del periodo ellenistico, quando -- con l'instaurazione dei regni ellenistici dopo la morte di Alessandro Magno -- la partecipazione attiva dei cittadini alla vita politica cessò del tutto.
Non male per una mostra che si compone, in tutto, di non più di sette piccole sale, per di più distribuite su due musei!
Da non perdere. I bambini ameranno i giochi di luce e le ambientazioni spaziali.