Sabato 3 dicembre ore 20.30: Libreria Teatro Tlon (Piramide) Domenica 4 dicembre ore16: la "Via delle arti" a Fara Sabina
Nel 1888 Oscar Wilde pubblica a Londra The Happy Prince and Other Tales (Il principe felice e altri racconti), una raccolta di cinque storie per bambini che l'artista inglese dedica ai suoi due figli Cyryl e Vyvyan. Della raccolta fa parte anche L'usignolo e la rosa (The Nightingale and the Rose), una storia che stupisce per la sua amarezza e per l'assenza di un lieto fine -- come mai ci si aspetterebbe in un racconto per bambini.
Chissà se l'intento che Oscar Wilde perseguiva era quello di disilludere i suoi figli, sin da piccolissimi, dalla falsa illusione dell'amore eterno, o forse con questo racconto voleva metterli in guardia dal considerare tutti gli amori ugualmente forti e meritevoli di sacrificio.
L'usignolo e la rosa narra la storia di un giovane studente di filosofia che si dispera perché non trova una rosa rossa da offrire alla fanciulla amata. La
ragazza acconsentirà infatti ad accompagnarlo al ballo solo se lui le donerà il fiore vermiglio. Un usignolo ascolta le lamentele del giovane e decide di aiutarlo e vola alla ricerca della rosa
rossa. Dopo aver cercato in lungo e in largo invano, un roseto lo avverte che l'unico
modo
per trovare il fiore è cantare tutta la notte trafitto da una spina, in modo che il sangue dell'uccellino tinga la rosa. Credendo nella forza dell'amore, l'usignolo decide di sacrificarsi per rendere felice il giovane, che può così donare il fiore alla fanciulla e coronare il suo sogno. L'usignolo in realtà ha fatto male i suoi calcoli: la fanciulla infatti rifiuta la rosa rossa del giovane studente e se ne va al ballo con un altro ragazzo che le ha donato gioielli (molto più preziosi di una rosa). C'è di più. Pur sapendo che la rosa è frutto del sacrificio dell'uccellino, lo studente deluso getta il fiore nel fango e si rintana a casa a studiare filosofia. Che debacle.
Quando ci siamo incontrate a pranzo per parlare del suo spettacolo, la prima cosa che ho chiesto a Silvia Martorana Tusa è stata proprio "perché mettere in
scena una storia così triste e amara"? Con il sorriso di chi la sa lunga Silvia mi ha spiegato con la sua bellissima, straordinaria voce, che la scelta di questo racconto rientra nell'ambito di
una ricerca e di una riflessione sul tema dell'amore che la appassiona ormai da tempo. Tanto da spingerla a riadattare l'opera per un progetto di narrazione orale, per la prima volta in scena a
Roma.
Da un paio d'anni Silvia interpreta il ruolo del narratore/aedo raccontando, in giro per l'Italia, la storia de l'usignolo e la rosa.
"E' un progetto importante -- confessa Silvia -- in cui cerco di riportare tra il pubblico italiano la magia delle storie raccontate, come si faceva un tempo radunati attorno al focolare, quando non c'erano né radio né televisione e il cantastorie svolgeva un ruolo sociale fondamentale, non solo ludico ma anche e soprattutto paideutico".
"La tradizione orale mi ha sempre affascinata, così dopo gli studi sul teatro al DAMS di Bologna mi sono specializzata a Palermo con Mimmo Cuticchio". Per chi non lo conoscesse, Mimmo Cuticchio è un mostro sacro, forse il più importante interprete ed erede della tradizione dei cuntisti (cantastorie) siciliani e dell'Opera dei Pupi, oggi iscritta tra i Patrimoni orali e immateriali dell'umanità dell'UNESCO.
"Con Mimmo ho appreso le innumerevoli tecniche per movimentare i racconti, mantenere viva l'attenzione del pubblico, suscitare la suspence dalla prima all'ultima parola, tenere tutti sul filo, nonché l'importanza della musica nell'ambito della narrazione". Non a caso la performance di Silvia è accompagnata dalle note di Sergio Bartolone alla chitarra.
Chiedo a Silvia cosa la affascini tanto della narrazione orale, rispetto al teatro: "è la straordinaria libertà di cui godono i narratori, che possono proporre al loro pubblico una versione sempre diversa della stessa storia. In assenza di un copione vero e proprio posso andare dove mi portano il cuore e la creatività, perlustrando luoghi e usando espedienti linguistici di volta in volta diversi, anche per adattarmi meglio al pubblico che ho di fronte".
"Il mio usignolo, ad esempio, a differenza di quello wildiano, viaggia in tutta Italia alla ricerca della famigerata rosa rossa incontrando roseti di diversi luoghi: c'è il roseto milanese un po' snob, quello fiorentino strafottente, quello romano verace, e così via, ciascuno con le sue locali peculiarità -- linguistiche e non solo". Vi lascio immaginare il resto...
La libertà del cantore è invidiabile da un lato, ma va considerato anche il rovescio della medaglia: la mancanza assoluta di sicurezze. "E' vero -- conferma Silvia -- non esistono battute scritte, manca un copione fisso, ma il bello è proprio quello di sapersi reinventare ogni volta. E' una sfida con se stessi in cui il pubblico diventa protagonista ed elemento integrante della narrazione."
"E' molto importante, infatti, che la storia assuma caratteristiche riconoscibili e note al pubblico di volta in volta presente: serve a creare un feeling tra il cantore e chi ascolta, perchè attingere a un background comune fa sentire le persone più vicine e capite, parte di una medesima cultura. E' lo straordinario potere dei dialetti locali e delle inflessioni regionali del linguaggio".
Lo spettacolo messo in scena a Palermo sarà quindi differente da quello che potrete ammirare a Roma in questi giorni, e così via, in un progetto che è sempre lo stesso e allo stesso tempo non è mai lo stesso.
Silvia Martorana Tusa, con l'accompagnamento di Sergio Bartolone, andrà in scena a Roma sabato 3 dicembre alla Libreria Teatro Tlon di via Nansen 14 (zona Ostiense, tra Piramide e Garbatella). I posti sono limitati, per prenotazioni: Libreria Teatro Tlon - l'usignolo e la rosa - 3 dicembre 2016.
Domenica 4 dicembre alle ore 16.00 sarà possibile ammirare lo spettacolo anche a Fara Sabina, nell'ambito della manifestazione "NATALE 2016 - via Don Luigi Sturzo diventa LA VIA DELLE ARTI”.