In Italia una donna su tre subisce violenza. Pensate ancora che questo fenomeno non ci riguardi tutti?
Lo so, lo so. Questo è un blog di arte e non di attualità. Ma per una volta fare un piccolo strappo alla regola mi è sembrato lecito, perché il fenomeno della violenza maschile sulle donne è un problema troppo grande per non parlarne, e troppo diffuso per far finta che non ci riguardi tutti.
Lo dicono le statistiche e i giornali, lo ribadiscono le Associazioni e i Centri Antiviolenza, e soprattutto ce lo testimonia Titti Carrano, presidentessa dell'Associazione Nazionale DIRe (Donne In Rete contro la violenza), ospite di una conferenza organizzata dall'Associazione Donne della Banca d'Italia (ADBI).
Questo articolo trae spunto proprio dalle parole -- e soprattutto dalla passione -- dell'intervento di Titti Carrano.
La violenza maschile contro le donne nel nostro paese è un fenomeno diffuso, di natura culturale e strutturale, che nasce da una disparità nei rapporti di potere basata sul genere. E' il retaggio di una società patriarcale in cui il potere tra i sessi è fortemente sbilanciato nelle mani degli uomini e in cui le donne sono in condizione di subordinazione e dipendenza-- anche economica. La violenza contro le donne può assumere molte forme: quella fisica (la più tangibile), ma anche psicologica ed economica; può diventare violenza "assistita" quando i bambini sono costretti ad assistere quotidianamente alla violenza esercitata sulle loro madri.
Ma sia chiaro a tutti (e a tutte): la violenza maschile sulle donne è un problema degli uomini. Sarebbe dunque importante interrogarsi sul perché, e che a farlo fossero anche (e soprattutto) gli uomini.
Dove vanno le donne quando subiscono violenza? In molti casi da nessuna parte. Tendono a chiudersi, isolarsi, perdono la propria libertà e la fiducia in se stesse, si sentono sbagliate, inadeguate, sviluppano un senso di colpa -- istigato dal loro aguzzino. Spesso occorrono anni prima che si decidano a chiedere aiuto. Per tale ragione è fondamentale l'esistenza e il potenziamento dei centri antiviolenza, specializzati nell'offrire il più idoneo tipo di assistenza a ciascuna donna in difficoltà. La funzione delle strutture antiviolenza e delle case rifugio è centrale: costituiscono il primo punto di contatto e di ascolto (anche telefonico), instaurano una relazione con le donne in difficoltà e le accolgono in strutture in grado di offrire l'assistenza necessaria (relazionale, ma anche psicologica, legale, ecc.). Il tutto ovviamente gratis, e solo se è la donna a volerlo.
L'obiettivo principale di questi centri è infatti quello di aiutare le donne a riprendere possesso della propria vita, ricostruire un rapporto sano con i figli e prendere coscienza del fatto che non sono sbagliate: hanno solo avuto la sfortuna di incontrare gli uomini sbagliati. Per fare tutto ciò (e per farlo bene) i centri devono disporre di personale altamente qualificato e di risorse congrue.
In Italia le strutture antiviolenza e le case rifugio sono ancora poche rispetto agli standard fissati a livello internazionale (in rapporto alla popolazione), e soprattutto non riescono a offrire rifugio e sostegno a tutte le donne in difficoltà. Tale situazione dipende principalmente dal fatto che i finanziamenti sono gravemente insufficienti. Fa storia la recente deliberazione della Corte di Conti del 5 settembre 2016 che ha bollato come "del tutto insoddisfacente" la gestione delle risorse assegnate per il potenziamento delle strutture di assistenza alle donne vittime di violenza e ai loro figli -- parliamo di più di 16 milioni di euro quasi tutti spariti nel nulla.
C'è però anche un rischio più sotterraneo, oltre all'endemica carenza di fondi, che minaccia i centri antiviolenza: è quello di una loro progressiva istituzionalizzazione. Il valore aggiunto delle strutture esistenti è dato infatti dall'eccezionale flessibilità di cui godono: non ci sono protocolli nè procedure standardizzate da seguire, ed è pertanto possibile ritagliare le attività sulle concrete esigenze di ogni donna che chiede aiuto. Esigenze che possono essere molto diverse. E' infatti fondamentale -- spiega Titti Carrano -- che queste donne, dopo anni di soprusi e violenze, di libertà negate e annullamento della propria persona, possano tornare a decidere autonomamente della loro vita e siano accompagnate dal personale dei centri in questo percorso di empowerment, di cui dettano loro stesse tempi e condizioni. Più di una donna ce la fa. Grazie a se stessa, ma anche al supporto delle strutture antiviolenza.
Ho scritto tanto, forse troppo, ma non ho ancora affrontato la domanda iniziale: cosa possiamo fare per contrastare la violenza sulle donne? Come possiamo combattere un fenomeno così diffuso e trasversale, presente in ogni contesto e classe sociale?
Ci vogliono tante risorse e una vera e propria rivoluzione culturale, che però richiede tempo. Nel nostro piccolo, intanto, possiamo contribuire a sensibilizzare le persone sul problema, parlarne con i nostri figli, combattere gli stereotipi di genere, nella consapevolezza che in Italia la violenza sulle donne non è un'emergenza circoscritta, ma un fenomeno culturale e strutturale costante. Dati alla mano, infatti, la violenza sulle donne fa più vittime della mafia. Allora, che vogliamo fare?
Alessia Paionni