AL MACRO TESTACCIO FINO AL 18 OTTOBRE 2016
Qualche giorno fa ho letto sul Corriere della Sera un articolo straziante che denunciava le condizioni disumane in cui versano i capi di bestiame che vengono trasportati in Turchia da tutta Europa -- Italia compresa -- per essere lì macellati e rivenduti sul mercato della carne.
Il viaggio dell'orrore delle mucche verso la Turchia. Sui tir anche mucche gravide poi macellate in strada, questo il titolo del pezzo di Beatrice Montini, davvero per stomaci forti.
Vi chiederete cosa c'entri un articolo sulle atrocità commesse sugli animali da bestiame con una mostra di arte contemporanea. Beh, considerato che il titolo della mostra in questione è Paintings of Violence (Why I am not a mere Christian), forse l'accostamento non è poi così azzardato.
Premetto che le tele dell'artista inglese Rachel Howard sono davvero impressionanti, spettacolari, magistralmente eseguite. Sono piaciute anche a mia figlia settenne (che non è proprio di gusti facili e che il giorno del vernissage avrebbe preferito restare a casa a guardare la tv).
La Howard ha impiegato cinque lunghi anni, dal 2011 al 2016, per realizzare i dieci dipinti che compongono l'installazione che dà il titolo alla mostra. Si tratta di una ricerca sul tema della violenza, della morte e della religione. Le opere, che hanno per dimensioni l'altezza dell'artista e l'apertura delle sue braccia come larghezza, sono state completate utilizzando una riga a T -- lontano richiamo a un crocifisso -- e facendo scorrere sulla superficie strati di colore dalle diverse tonalità di rosso, che spaziano dal rosso sangue vivo al rosso sangue rappreso. I teli bianchi usati per asciugare la riga a T sono stati piegati e riposti su un piedistallo, pure esposto, come testimonianza dell'atto creativo.
Per illustrarvi l'obiettivo della ricerca di Rachel Howard non trovo parole migliori di quelle dell'artista stessa, che spiega di aver voluto ritrarre la mano calma e ferma della violenza che agisce su ampia scala. E' il danno massimo, attentamente pianificato e portato a termine senza fretta: ...il lento taglio attraverso il colore a olio che fa emergere il rosso sangue vivo sottostante, puro e vulnerabile (come una ferita aperta, ndr). E poi la ripetizione, tela dopo tela, in modo sempre uguale ma ogni volta diverso.
Quelli ritratti sono atti di violenza pianificati in grado di sopraffare chiunque: atti di terrore, minacce alla placida stabilità della vita quotidiana, diversi tra loro ma uguali nell'effetto devastante su chi li vive o ne viene a contatto.
Le tele rappresentano la violenza degli atti di terrorismo, della guerra, delle tragedie del passato e del presente (dall'Olocausto all'odierno conflitto siriano, dalle bombe di Hiroshima e Nagasaki alle tragedie dei viaggi della speranza degli immigrati). Ho l'ardire di affiancare a queste anche le scene di violenza perpetrate dall'uomo sugli animali, altrettanto gravi perché gratuite. In quanto specie più evoluta del globo (a che prezzo, però) dovremmo avere la responsabilità di tutelare e proteggere l'ambiente e le specie che lo coabitano. Invece non solo sfruttiamo scriteriatamente le risorse e gli animali, ma snaturiamo i cicli vitali, violiamo l'ambiente e sottoponiamo le altre specie a sofferenze inaudite, senza alcun senso.
Nessun senso hanno infatti le atrocità sulle mucche trasportate in Turchia, lasciate senza acqua né cibo per giorni e giorni, solo per essere lì macellate senza ritegno, in barba a fior di leggi dell'Unione europea. Qui parliamo di tir, ma non troppo tempo fa qualcuno questo trattamento lo riservava anche alle persone, usando però i vagoni merci dei treni.
Chi è indifferente alla sofferenza degli esseri viventi, spesso lo è anche a quella degli esseri umani.
Alcune religioni propugnano una visione olistica della natura, nella quale l'umanità non è che parte di un tutto organico e ad esso indissolubilmente legato. In effetti, a pensarci bene, più danni causiamo al nostro ambiente, più a rischio poniamo la nostra stessa sopravvivenza. Tuttavia la percezione del compimento di queste azioni nefande ci sfugge a livello individuale, non perché inaccettabile di per se, ma semplicemente perché sentito come qualcosa di troppo lontano e ineluttabile per essere intaccato dal comportamento del singolo individuo. O, peggio ancora, perché ne siamo del tutto inconsapevoli.
Speriamo di scaricare il problema (e la sua soluzione) sui grandi della terra, come se questi potessero, dall'alto degli scranni del potere, guarire i mali del mondo con la bacchetta magica.
Sbagliato. Il problema (e la sua soluzione, se c'è) la possiamo trovare soltanto agendo e cambiando ciascuno nel nostro piccolo.
Facciamo un esempio su Roma: se da domattina tutti iniziassero a buttare la spazzatura nei cassonetti (senza lasciarla a terra accanto al bidone), a non gettare più cicche o cartacce a terra e a portare i rifiuti ingombranti nelle isole ecologiche dell'AMA (senza abbandonarli per strada, sotto casa), nel giro di qualche giorno la città sarebbe più pulita e il lavoro dei netturbini più gratificante e costruttivo (anziché essere un moderno supplizio di Sisifo, condannato a spingere un masso dalla base alla cima di un monte, per poi vederlo rotolare giù, dall'altro lato).
Ecco, ero partita dalla mostra di Rachel Howard e guarda dove sono approdata, passando per la deportazione dei bovini da macello in Turchia. Mi scuso per il tremendo divagare con quei due o tre lettori (tra i quali spero ci sia anche mio marito) che hanno resistito nella lettura fino a questo punto.
L'arte contemporanea è anche (e soprattutto) questo: ci costringe a vedere anche quello che non ci piace, ci fa osservare, pensare, fare collegamenti, sentire (spesso soffrire), ribellarci e cercare una via d'uscita per (soprav)vivere.
Cosa più importante di tutte, ci fa guardare dentro noi stessi, esperienza terribilissima e spaventosa più di ogni altra cosa.
Alessia Paionni