La forza del tratto, la violenza del colore IN MOSTRA A ROMA FINO A FINE SETTEMBRE
Seguo Danilo Bucchi dal 2005. Tutto cominciò quando Beatrice Alegiani, ex vicina di casa e ai tempi assistente di Danilo, mi invitò alla personale di questo artista presso la Galleria MICRO a Roma - allora proprio di fronte al MACRO Testaccio. Fu un colpo di fulmine: il tratto continuo, complicato e morbosamente sofferto; i soggetti piccoli, bruttini, banali, ma così irresistibilmente umani; il bianco e nero, tutto mi piaceva delle opere di Danilo Bucchi. Di quella mostra ho un solo grandissimo rimpianto: non aver acquistato un'opera raffigurante due personaggi avvinti in un abbraccio tormentato, che si baciavano. Da quella volta, se un quadro mi piace davvero -- e se me lo posso permettere -- lo compro senza pensarci troppo.
Il segno di Danilo Bucchi è inconfondibile. Lo riconoscerei ovunque: dai pesciolini disegnati sulle tovagliette e appesi in una trattoria di via Panisperna a Roma, dai murales di Tor Marancia, Catania e New York al progetto con Antonio Marras al Palazzo Collicola di Spoleto.
Guardando le sue opere, nel corso degli anni, ho assistito all'inarrestabile processo evolutivo di questo artista e alla sua ricerca, una precisa narrazione. Un percorso che oggi culmina in una mostra alla Galleria Il Ponte Contemporanea di Roma.
Non si tratta squisitamente di una personale, poiché la natura ibrida de Il Ponte -- che nasce da una collaborazione italo-cinese -- prevede una continua coesistenza di artisti rappresentativi di questi due paesi; la si potrebbe definire tuttavia una quasi-personale, visto che le sale ampie e articolate della Galleria, un'ex pellicceria con annesso laboratorio, consentono a più artisti di esporre senza sovrapposizioni né contaminazioni. Si tratta di uno spazio a scatola cinese (ma guarda un po') dove le sale si snodano fino a raggiungere il cuore della galleria, uno spazio ribattezzato Strongbox, un tempo il caveau della pellicceria.
La mostra di Danilo Bucchi curata da Giuliano Matricardi comprende diversi dipinti, una scultura (Baby cool) e un'installazione (Illusion).
Non c'è un vero e proprio filo conduttore a legare queste opere. L'artista vuole che sia lo spettatore a individuare un percorso sulla base delle proprie emozioni e della propria personale esperienza - mi spiega Serena, l'assistente di Galleria, mentre mi guida tra le sale.
Nelle opere in esposizione riconosco tutti i modi e i colori di Danilo Bucchi: il bianco del foglio, il nero lucido del tratto curvo e continuo, il rosso cupo e sanguinolento. Noto che negli ultimi lavori il rosso, forte e profondo, si è fatto più protagonista. Anche qualcos'altro è cambiato: le figure, i personaggi, che sono sempre stati familiari e al tempo stesso un po' inquietanti, nei tre "Paesaggi sospettati" sono inghiottiti e quasi svaniti nel rosso.
Qualcosa non ci fa stare tranquilli: prendiamo il "Paesaggio sospettato I": il soggetto, da lontano quasi astratto, appare come un'enorme chiazza di colore rosso di tonalità diverse, che cola verso il margine del foglio. A guardarla meglio, però, la macchia assume sembianza di una casetta con tetto e giardino. Un'immagine lieta e serena? Per nulla. C'è sempre qualcosa che ci allarma e aguzza i nostri sensi.
Istintivamente ci avviciniamo, incuriositi, e iniziamo a cogliere innumerevoli particolari, sparpagliati qua e là. Per inquadrarli e riconoscerli consapevolmente occorre focalizzare l'attenzione, ma il nostro cervello li ha già percepiti tutti: ha visto il coltello, il pozzo, i personaggi piccoli e deformi, l'armadio, il volto mostruoso, il dinosauro, i fantasmini. Ha inquadrato anche l'altalena, la fontana, una bicicletta, un pianoforte a coda, uno specchio e, sulla destra, un paesaggio con filari di cipressi. Di tutti questi simboli lo spettatore può fare quello che vuole: immaginare una casa dei sogni e/o degli orrori, in cui proiettare e rintracciare i propri pensieri ed esperienze.
La stessa dinamica vale per i "Paesaggi sospettati" II e III, chiaramente evocativi della monumentalità sacra e profana di Roma. Ci sono i luoghi e, nascoste, le tracce della vita che li ha attraversati.
Ecco, questi personaggi, queste tracce, sono quelle delle nostre storie, belle e terribili, di Romani, Italiani, Europei. Una metafora della nostra (inutile, effimera) esistenza? Forse: da un lato le tracce perenni del nostro passaggio (case, templi, chiese, monumenti) nelle quali le storie dei singoli si perdono, come fantasmi. Dall'altro le nostre individualità, la nostra piccola, insignificante -- ma per noi tanto preziosa -- vita, con gli oggetti cari, gli affetti e la comunità.
Danilo Bucchi sembra riassumere in queste tre opere il trade-off della vita umana: la collettività versus il singolo, la dimensione pubblica versus la vita privata, la storia versus la nostra esperienza individuale e personale. In quest'ottica si spiega anche un'opera come il "Cristo di tutti" -- realizzata per il Museo del Risorgimento-Certosa di Bologna -- ove l'immagine del corpo di Gesù sulla croce si compone di (o si scompone in) innumerevoli piccoli individui, ognuno con la sua storia, i suoi trionfi e i suoi lamenti, ma anche parte forse di un disegno più grande, qualcosa che dia un senso a questa vita, in un modo o nell'altro.
DA NON PERDERE
Alessia Paionni
Il Ponte Contemporanea
Via Beatrice Cenci, 9 - ROMA
Ph. +39 06 6833897
info@ilpontecontemporanea.com
Orari: LUN-VEN h12-19