La storia di Arminio Wachsberger narrata da Gabriele Rigano. Avvincente come un romanzo, rigoroso come un saggio.
Probabilmente non avrei mai letto "L' interprete di Auschwitz" se Paola Cardellicchio, moglie di Gabriele Rigano, non mi avesse invitato alla presentazione del libro mercoledì 4 maggio presso la Casina dei Vallati, sede della Fondazione Museo della Shoah.
La letteratura sulla persecuzione degli Ebrei durante la II guerra mondiale è vastissima: ricomprende opere letterarie scritte direttamente da chi è sopravvissuto all'Olocausto (Primo Levi, Imre Kertész, Denis Havey, Terenzio Magliano, Władysław Szpilman, Elie Wiesel) e da chi non lo è (Anna Frank), una serie sconfinata di saggi e studi di autori che approfondiscono l'argomento da diverse angolazioni (Hannah Arendt, Christopher Browning, Saul Friedlaender, Guri Schwarz, Vasilij Grossman, Erika Schwarz, Gerald Green, Giovanna D'Amico, solo per citarne alcuni) e intere collane dedicate (ad esempio i "Libri per non dimenticare" dell'editore Mursia).
Oltre ai libri ci sono ovviamente le memorie dirette di chi quegli eventi li ha vissuti in prima persona, sulla propria pelle. Mia nonna Maria era una di queste persone.
Lei conservava un ricordo vivissimo della vita prima e durante la guerra: il Fascismo, le violenze, la paura, il coprifuoco, i bombardamenti, la fame. "Gli ebrei, insieme agli oppositori politici, erano quelli che se la passavano peggio. C'erano le purghe, i pestaggi, le retate, e poi arrivarono anche le leggi razziali e la persecuzione", mi raccontava. Diceva anche che io non potevo capire cosa significasse vivere in guerra: penso che avesse ragione, in questo senso. Non si può comprendere a fondo l'orrore della guerra, se non lo si è vissuto direttamente -- né si è in grado di apprezzare adeguatamente i tempi di pace, di conseguenza.
Mia nonna è scomparsa un anno fa. L' eco delle sue parole però si è in qualche modo riaffacciato alla mia memoria durante la presentazione del libro di Gabriele Rigano.
"L'interprete di Auschwitz" racconta la storia di Arminio Wachsberger, ebreo, nativo di Fiume, romano d'adozione e, soprattutto, poliglotta. La conoscenza di italiano, tedesco (lingua materna), yiddish e inglese gli fecero guadagnare il ruolo di Dolmetscher ("interprete") nel lager di Auschwitz e nel ghetto di Varsavia sotto l'occupazione nazista -- ruolo che gli ha probabilmente salvato la vita.
Per Arminio Wachsenberg e per la sua famiglia (moglie e figlia di cinque anni), come per tanti altri ebrei di Roma, l' incubo iniziò all'alba di sabato 16 ottobre 1943, quando i nazisti effettuarono una sistematica retata per rastrellare gli Ebrei. Ne riuscirono a catturare più di 1000 tra uomini, donne, bambini e anziani. Li caricarono su otto vagoni merci diretti al campo di concentramento di Oświęcim (Auschwitz) in Polonia. Il viaggio durò sei giorni, durante i quali non fu dato praticamente né cibo né acqua ai prigionieri. Alcuni, anziani o malati, morirono all'interno dei vagoni. Per gli altri l'incubo continuò con l'arrivo al lager.
Gabriele Rigano parte dalla memoria di Arminio Wachsberger (le parti in corsivo, corrispondenti ai ricordi del protagonista) per ripercorrere tutti gli avvenimenti indagando e confrontandoli con i documenti le testimonianze storiche. Questa impostazione "a doppio binario" dona al libro un carattere unico, rendendolo avvincente come un romanzo e al tempo stesso rigoroso come un libro di storia, frutto di anni di ricerche approfondite.
La presentazione del libro alla Casina dei Vallati ha rappresentato essa stessa un evento eccezionale, vuoi per il particolare coinvolgimento emotivo di relatori e pubblico, per lo più facente parte della Comunità ebraica di Roma, vuoi per l'intreccio, più o meno diretto, che lega la storia di alcune delle personalità presenti alla vicenda di Arminio Wachsberger. Ruth Dureghello, Presidentessa della Comunità ebraica di Roma, ha infatti raccontato commossa che la sua famiglia, fermata dai nazisti quella stessa mattina del 16 ottobre, deve la sua sopravvivenza al fatto che Arminio suggerì al capofamiglia di dichiararsi cattolico, in virtù del cognome non riconosciuto come ebraico dai tedeschi. Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma, parla del rapporto con Clara e Silvia Wachsberger, nate dal secondo matrimonio di Arminio con Olga Wiener (la prima moglie, Polacco, era stata eliminata con la figlioletta subito dopo l'arrivo ad Auschwitz). Il rabbino ha conosciuto la famiglia Wachsberger nella fase della sua rinascita: è sorprendente come due sopravvissuti (anche la Wiener era una reduce di Auschwitz) siano riusciti a dare vita a un mondo nuovo, trovando la forza di ricominciare dopo l'inferno.
Ad Andrea Riccardi, storico e Presidente della Società Dante Alighieri, spetta il compito di illustrare il libro e ripercorrere parte della storia di Arminio Wachsberger: "Arminio è un uomo coraggioso: il suo racconto è scevro da drammatizzazioni ed esagerazioni. Vedeva cosa stava accadendo, eppure non capiva, non riusciva a credere che gli orrori ascoltati su Radio Londra o narrati dagli stessi soldati tedeschi a Roma, che si vantavano di aver massacrato centinaia di ebrei, potessero essere qualcosa di più che spacconate da bar". Eppure, dice, le testimonianze raccolte da Gabriele Rigano a corredo delle memorie di Wachsberger non fanno che sostanziare il fatto che molti sapessero cosa stava succedendo a Roma, in Italia e in alcune parti d'Europa: ne era consapevole la Chiesa Cattolica (le suore "che davano rifugio ai poveri ebrei dalla morte certa"), una parte della popolazione cittadina non ebrea (questo è il motivo per cui molte donne cattoliche accoglievano in casa propria i bambini ebrei, fingendo che fossero loro figli).
Arminio è intelligente, conosce il tedesco, apprende velocemente. Impara subito che all'interno del sistema concentrazionistico per sopravvivere occorre mentire (sul proprio stato di salute, sull'età, sugli altri), rubare e non fidarsi (quasi) di nessuno. Per Rigano le parole di Wachsberger sono una finestra sull'orrore, un inferno così terribile da far impallidire quello dantesco, un male così grande da essere indicibile, inenarrabile. Significative al riguardo le parole di Marina Bren, professoressa di letteratura italiana all'Università La Sapienza di Roma, che propone una riflessione sul complesso rapporto tra testimonianza diretta e storiografia: la memoria è spesso impura, contaminata, ed è anche oblio -- perché a volte dimenticare è necessario per viviere (ce lo insegna il caso di Primo Levi, che fu sempre tormentato dal pensiero e dal ricordo del lager, fino alla morte nel 1987).
"L' interprete di Auschwitz" è un libro da leggere per non dimenticare, anzi per mantenere ben vivo il ricordo e aprire il nostro cuore e la nostra comprensione ai tanti perseguitati e sopravvissuti che fuggono da analoghi orrori, nascosti dietro a volti, luoghi, simboli e ideologie differenti, ma sempre abominevoli e lontani da qualsiasi logica e umanità.
Alessia Paionni
Gabriele Rigano è ricercatore di Storia contemporanea all’Università per Stranieri di
Perugia, redattore capo di Storia e Politica. Annali della Fondazione Ugo La Malfa, e autore di saggi di storia religiosa e politica del Novecento. Per Guerini e Associati ha pubblicato
Il caso Zolli. L’itinerario di un intellettuale in bilico tra fedi, culture e nazioni (Milano, 2006) e Il podestà «Giusto d’Israele». Vittorio Tredici, il fascista che salvò gli
ebrei (Milano, 2009). Per EDB Sguardi La svolta razzista. Controversie ideologiche tra Chiesa e Fascismo.
Scrivi commento