L'artista sudafricano William Kentridge dedica alla città eterna un fregio di 550 metri, tra Ponte Sisto e Ponte Mazzini, destinato a scomparire in pochi anni
Il progetto per la realizzazione di un monumentale fregio che rievoca i momenti di gloria e le pagine più tristi della storia di Roma è nell'aria da più di 10 anni. Il fatto che l'associazione Tevereterno e l'artista americana Kristin Jones siano riusciti finalmente a realizzarlo nel 2016, dopo aver ricevuto un'alternanza schizofrenica di insensati divieti ed entusiastiche approvazioni, è principalmente frutto della loro testardaggine (e che dio li benedica per non aver mollato). La burocrazia e l'avversione al cambiamento -- o forse solo l'inettitudine -- tipici del bel paese hanno infatti rischiato di mandare a rotoli questa straordinaria iniziativa, riuscendo per fortuna "soltanto" a ritardare l'impresa (di anni, intendiamoci).
Il fregio è stato realizzato con una tecnica che salvaguarda al massimo l'integrità dei muraglioni del lungotevere della Farnesina, tra ponte Sisto e ponte Mazzini: i disegni sono realizzati semplicemente rimuovendo con getti d'acqua smog, sporcizia e vegetazione dalle pareti in travertino sulle quali sono stati applicati degli stencil, cioè delle sagome di carta plastificata che ritraggono i disegni originali di William Kentridge.
Una tecnica geniale, già utilizzata dall'artista Kristin Jones nel 2009 per l'installazione "Wolflight" nell'ambito del progetto Trilogy: The She wolf as shape of time, che consente di realizzare disegni anche monumentali senza lasciare segni permanenti sul supporto. Unico neo: col tempo i disegni sono destinati a scomparire, cancellati dall'inesorabile avanzare di smog, sporcizia e materiale organico.
Kentridge non si fa un cruccio del carattere effimero che caratterizza la sua opera. Anzi, è un tratto distintivo e inedito che per qualche oscura ragione gli piace, così come adora il soggetto: Triumphs (trionfi) e Laments (cadute).Nelle conferenze stampa e nelle diverse lezioni aperte tenute a Roma durante i lavori preparatori l'artista sudafricano spiega al pubblico che nel fregio i momenti di gloria e le sconfitte sono ritratte alla rinfusa, senza seguire un ordine preciso (nemmeno cronologico). Questo perché i trionfi e le sconfitte non sono che due facce dello stesso evento, basti pensare a una partita di tennis (o anche ad una guerra), nelle quali ci sarà sempre un vincitore, da un lato, e un perdente, dall'altro. Ecco, il fregio di Kentridge vuole celebrare entrambi questi momenti, ascesa e caduta, visti dall'artista come intrinsecamente connessi.
I personaggi (circa 90, alti fino a 10 metri) protagonisti di questi eventi si snodano per circa 550 metri senza un'ordine preciso, come frammenti capaci di evocare memorie e sensazioni al pubblico che li osserva passeggiando sulle rive del Tevere (o, con vista dall'alto, sul lungotevere dei Tebaldi).
Si tratta di episodi mitologici, storici o recenti che hanno segnato la vita della città eterna, spiega Kentridge. Ognuno, guardando queste "tracce" costellare il lungo fregio come una processione che si sviluppa controcorrente da ponte Sisto a ponte Mazzini, può ricollegare ciascuna immagine a un evento o a una storia che gli è più o meno familiare.
Si parte dalla Nike, la vittoria alata dell'antica Grecia, ritratta integra, poi in via di decomposizione e infine del tutto frantumata (quale miglior paradigma del trionfo e della caduta?). Si passa poi per: il mito della lupa capitolina (prima in carne ed ossa, poi scheletrica), l'arcangelo Michele che scaccia la peste, la disperazione di Anna Magnani in Roma città aperta, la Dolce vita di Fellini, l'ingresso dei Bersaglieri a Porta Pia, Romolo che assassina il fratello Remo, l'auto in cui verrà ritrovato il cadavere di Aldo Moro, i Romani che portano in trionfo la menorah dopo la distruzione del tempio di Gerusalemme, l'uccisione di Pier Paolo Pasolini, l'iscrizione commemorativa dell'alluvione del settembre 1557, il martirio di San Pietro (crocifisso a testa all'ingiù), la fuga del papa, Giordano Bruno, il gruppo scultoreo di Amore e Psiche che trascina il busto di Cicerone, soldati romani che portano le insegne (di cui l'ultima, curiosamente, è una macchina da cucire...), e ancora tanti altri episodi che lascio alla vostra curiosità e interpretazione. Una chicca: l'autore ha voluto lasciare uno spazio oscurato con sopra l'indicazione "Quello che non ricordo", un geniale espediente per sollecitare l'immaginazione del pubblico.
Solo una raccomandazione, anzi due: la prima è di non lasciar trascorrere troppo tempo per andare ad ammirare quest'opera (il fregio non resterà a lungo così nitido e visibile, con tutto l'inquinamento presente in città); la seconda è l'invito a seguire e sostenere in futuro gli eventi organizzati dall'associazione Tevereterno (magari iniziando con l'iscrivervi alla newsletter dell'associazione): se tanto mi dà tanto, ne vedremo di belle anche per quanto riguarda i progetti per la riqualificazione di questa parte del lungotevere ideati dall'artista Kristin Jones. L'opinione e il supporto del pubblico contano parecchio, in questi casi. Auspico, nel frattempo, una banale manutenzione degli argini (piuttosto dissestati sul lato del lungotevere dei Tebaldi) e una più accurata pulizia degli spazi (sullo stato attuale, nonostante il fregio di Kentridge, mi taccio per pudore), unitamente all'invito rivolto a Romani e turisti di apprezzare e rispettare i luoghi che visitano o dove vivono.
Alessia Paionni
PIAZZA TEVERE - Banchine sul Tevere da ponte Sisto a ponte Mazzini (Trastevere)
lungotevere della Farnesina e lungotevere dei Tebaldi
Zona Trastevere